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L’Open Innovation è molto più di una metodologia: è un nuovo modo di intendere l’innovazione strategica. Basata sul concetto di apertura e collaborazione, supera il modello tradizionale dei laboratori chiusi per trasformare le imprese in ecosistemi di conoscenza condivisa.
L’Open Innovation è molto più di una metodologia: è un nuovo modo di intendere l’innovazione strategica. Basata sul concetto di apertura e collaborazione, supera il modello tradizionale dei laboratori chiusi per trasformare le imprese in ecosistemi di conoscenza condivisa.
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Open Innovation: l’innovazione come sistema aperto

L’Open Innovation è molto più di una metodologia: è un nuovo modo di intendere l’innovazione strategica. Basata sul concetto di apertura e collaborazione, supera il modello tradizionale dei laboratori chiusi per trasformare le imprese in ecosistemi di conoscenza condivisa. Ideata da Henry Chesbrough, questa filosofia manageriale si fonda sulla capacità di integrare risorse, idee e tecnologie provenienti dall’esterno, accelerando i processi di sviluppo e riducendo il rischio d’impresa. L’articolo esplora i principi dell’Open Innovation, la sua connessione con la mentalità Agile e presenta esempi concreti — come il caso Procter & Gamble — che dimostrano come l’apertura dei confini aziendali possa generare un vantaggio competitivo sostenibile e collaborativo, fondato sulla fiducia e sulla condivisione della conoscenza.

L’Open Innovation è molto più di una metodologia: è un nuovo modo di intendere l’innovazione strategica. Basata sul concetto di apertura e collaborazione, supera il modello tradizionale dei laboratori chiusi per trasformare le imprese in ecosistemi di conoscenza condivisa. Ideata da Henry Chesbrough, questa filosofia manageriale si fonda sulla capacità di integrare risorse, idee e tecnologie provenienti dall’esterno, accelerando i processi di sviluppo e riducendo il rischio d’impresa. L’articolo esplora i principi dell’Open Innovation, la sua connessione con la mentalità Agile e presenta esempi concreti — come il caso Procter & Gamble — che dimostrano come l’apertura dei confini aziendali possa generare un vantaggio competitivo sostenibile e collaborativo, fondato sulla fiducia e sulla condivisione della conoscenza.

Dalla chiusura dei laboratori alla rete globale della conoscenza condivisa

Per decenni, l’innovazione è stata considerata un processo interno, confinato nei laboratori di ricerca o nelle strutture R&D delle grandi imprese. Il paradigma era chiaro: proteggere le idee, custodirle come vantaggio competitivo e trasformarle in prodotti o tecnologie esclusive. Ma con l’avvento della globalizzazione, della digitalizzazione e della democratizzazione della conoscenza, questo modello ha mostrato tutti i suoi limiti.
È in questo contesto che nasce l’approccio dell’Open Innovation, una delle metodologie più rivoluzionarie del management moderno, capace di ridefinire il concetto stesso di innovazione aziendale.

Coniato nel 2003 da Henry Chesbrough, professore alla University of California, Berkeley, il termine Open Innovation descrive una filosofia di gestione che si basa su un principio tanto semplice quanto potente: le imprese non devono innovare da sole.
Le idee, le tecnologie e le soluzioni possono provenire da attori esterni — startup, università, centri di ricerca, fornitori, clienti o persino concorrenti — e il ruolo dell’organizzazione diventa quello di integrare queste fonti di valore in un ecosistema aperto, dinamico e collaborativo.

Dall’innovazione chiusa all’innovazione aperta

Nel modello tradizionale di “innovazione chiusa”, le aziende investivano pesantemente in ricerca interna e proteggevano con rigore i risultati, spesso attraverso brevetti o segreti industriali.
Questo approccio, efficace in un mondo stabile e competitivo, si è però rivelato inadeguato in un contesto come quello attuale, dove la conoscenza è diffusa, la tecnologia evolve rapidamente e il talento non è confinato all’interno di una singola organizzazione.

L’Open Innovation propone un cambio di paradigma radicale: aprire i confini dell’impresa, permettere al sapere di entrare e uscire liberamente, e costruire valore condiviso attraverso partnership, alleanze e co-creazione.
Non si tratta di abbandonare la proprietà intellettuale, ma di ridefinirla come leva strategica, capace di accelerare l’apprendimento e amplificare l’impatto.

Come afferma Chesbrough, “nessuna azienda, per quanto grande o brillante, può permettersi di ignorare l’intelligenza che esiste al di fuori dei suoi confini.”

Le tre dimensioni dell’Open Innovation

Il modello si fonda su tre dimensioni operative, che ne rappresentano la struttura metodologica:

  • Inbound Open Innovation, ovvero l’acquisizione di conoscenza e soluzioni dall’esterno, come nel caso delle collaborazioni con startup o università.
  • Outbound Open Innovation, la condivisione o la licenza di tecnologie interne verso l’esterno, generando nuovi flussi di valore.
  • Coupled Process, la forma ibrida in cui collaborazione e scambio sono bilaterali, tipica degli ecosistemi e delle partnership strategiche.

In questo senso, l’Open Innovation non è un processo lineare, ma un network di interazioni che trasforma l’impresa in un nodo di una rete globale di conoscenza.
Ogni organizzazione diventa parte di un sistema più ampio, dove il vantaggio competitivo nasce dalla capacità di integrare e valorizzare ciò che gli altri sanno.

Un nuovo ruolo per la cultura organizzativa

La vera sfida dell’Open Innovation non è tecnologica, ma culturale.
Molte aziende falliscono nei programmi di innovazione aperta non perché manchino di idee o risorse, ma perché non riescono a superare la logica della chiusura e del controllo.

Perché un approccio aperto funzioni, è necessario costruire una cultura della fiducia, della collaborazione e della condivisione.
Le organizzazioni devono imparare a gestire la conoscenza non più come un patrimonio da difendere, ma come un capitale da mettere in circolo.
Questo richiede un cambiamento profondo nella leadership e nei modelli di governance: il manager non è più colui che decide cosa innovare, ma colui che orchestra le connessioni, facilitando il dialogo tra mondi diversi.

È qui che l’Open Innovation incontra la mentalità Agile, poiché entrambe le filosofie condividono un principio comune: la complessità si gestisce con collaborazione e adattività.
Il valore non nasce dalla previsione, ma dalla capacità di sperimentare, apprendere e integrare conoscenze eterogenee.

Caso concreto: l’ecosistema di innovazione di Procter & Gamble

Un esempio emblematico di applicazione dell’Open Innovation è il programma “Connect + Develop” lanciato da Procter & Gamble (P&G) nei primi anni 2000.
L’azienda, tra i leader mondiali del settore dei beni di largo consumo, si trovava di fronte a una sfida cruciale: la produttività dell’R&D interna non era più sufficiente a sostenere il ritmo del mercato globale.

Il CEO A.G. Lafley, ispirato dalle idee di Chesbrough, decise di ribaltare il paradigma.
P&G cominciò a collaborare sistematicamente con università, startup, fornitori e persino concorrenti, aprendo la propria ricerca al mondo esterno.
In pochi anni, più del 50% delle innovazioni lanciate da P&G proveniva da fonti esterne integrate nel proprio ecosistema di sviluppo.

Il risultato fu straordinario: non solo aumentarono i tassi di successo dei nuovi prodotti, ma si ridussero significativamente i costi e i tempi di sviluppo.
Il caso P&G è oggi un classico esempio di come l’Open Innovation possa trasformare un’azienda tradizionale in un sistema intelligente di co-creazione, capace di combinare scala industriale e flessibilità collaborativa.

Dall’Open Innovation all’Innovation Ecosystem

Nel panorama attuale, l’Open Innovation ha dato origine a una nuova generazione di modelli: gli Innovation Ecosystems, reti integrate di attori che cooperano per generare valore in modo distribuito.
Questi ecosistemi uniscono aziende, startup, enti pubblici, università e comunità digitali, creando spazi di innovazione condivisa.

L’obiettivo non è più soltanto acquisire conoscenza, ma favorire la circolazione delle competenze e la crescita collettiva.
L’innovazione diventa così una funzione di sistema, in cui ogni attore contribuisce con le proprie risorse, esperienze e prospettive.

Le piattaforme digitali, i programmi di corporate venture e le open call per startup sono solo alcune delle modalità operative con cui le imprese costruiscono oggi questi ecosistemi.
Ma il vero valore non risiede nella tecnologia o nei contratti, bensì nella maturità relazionale e nella capacità di apprendere insieme.

I vantaggi strategici dell’Open Innovation

Adottare una metodologia di innovazione aperta significa abbracciare una visione sistemica del vantaggio competitivo.
Tra i benefici più rilevanti si possono evidenziare:

  • Accelerazione dei cicli di sviluppo: l’accesso a idee e tecnologie esterne riduce i tempi di innovazione.
  • Riduzione dei costi e del rischio: condividere la sperimentazione con partner esterni permette di diluire l’investimento.
  • Espansione della rete di valore: le collaborazioni aprono nuovi mercati e opportunità.
  • Rafforzamento della brand reputation: la trasparenza e la collaborazione posizionano l’impresa come attore aperto e sostenibile.

Ma il vantaggio più profondo è di natura culturale: l’Open Innovation insegna alle organizzazioni a vedere il mondo non come un’arena competitiva, ma come un ecosistema interdipendente, in cui la conoscenza cresce solo se condivisa.

Aprire l’impresa per aprire la mente

L’Open Innovation non è solo una metodologia, ma una visione del futuro del management.
È l’evoluzione naturale di un’economia che ha compreso che la conoscenza non può essere contenuta, e che la collaborazione è la nuova forma di intelligenza collettiva.

Per le aziende che scelgono di adottarla, la sfida non è tecnica ma culturale: abbandonare la paura della perdita di controllo e abbracciare la logica della rete, dove la fiducia sostituisce la segretezza e il valore nasce dall’interconnessione.

In un’epoca dominata da incertezza e trasformazione, l’Open Innovation rappresenta la risposta più concreta e sostenibile: aprire per evolvere.
Perché l’innovazione, come ogni forma di crescita autentica, non nasce dal possesso, ma dalla condivisione della conoscenza.

Marco Merlino

Ingegnere con oltre vent’anni di esperienza nel settore dell’Information Technology, Marco Merlino ha costruito un solido percorso manageriale guidato da una visione strategica dell’innovazione e una profonda competenza nei processi di digital transformation. In qualità di CEO di Neosidea Group, ha coordinato programmi complessi di trasformazione digitale e sviluppo tecnologico, ponendo al centro l’integrazione tra business, tecnologia e persone. Nel suo ruolo di CTO e IT Manager per realtà eterogenee – tra cui Giappichelli Editore, importante casa editrice universitaria, e l’Istituto di Medicina Biologica, attivo nel settore sanitario – ha promosso il cambiamento organizzativo attraverso la digitalizzazione dei processi, l’introduzione di sistemi informativi avanzati e la governance di team cross-funzionali. Tali esperienze lo hanno portato a consolidare un approccio al digital management fondato sulla valorizzazione del capitale umano, la cultura del dato e la costruzione di ecosistemi tecnologici scalabili e resilienti. È riconosciuto come esperto di metodologie Agile e Scrum, ambito in cui svolge dal 2014 un’intensa attività come formatore e consulente per grandi aziende e istituzioni. Il suo contributo si è esteso a settori strategici come l’automotive, l’assicurativo e la consulenza direzionale, con incarichi presso FCA, EY, IMA, Replay, tra gli altri. È certificato Scrum Master e Scrum Developer, con una formazione manageriale completata presso SDA Bocconi (Master in IT Management) e la University of California (Managing as a Coach). La sua leadership si caratterizza per una spiccata capacità di guidare l’innovazione con metodo, orientando le organizzazioni verso una gestione proattiva del cambiamento e un’evoluzione continua dei modelli operativi. Combinando competenze tecniche, organizzative e relazionali, Marco Merlino è un punto di riferimento per le aziende che intendono affrontare la sfida della modernizzazione digitale con un approccio concreto, sostenibile e human-centered.
https://www.linkedin.com/in/neosidea/

Amministratore e fondatore del gruppo neosidea
Fondatore e membro del comitato scientifico dell'AIFAG (Ass. Italiana Firma Avanzata a mezzo grafometria e biometria)
Certificazioni: ISIPM, PSM (Professional Scrum Master), PSD, PSPO, CSM, OCA
Formazione specialistica post-laurea: Design Thinking @Università della California, IT Management @SDA Bocconi,

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